AOSTA (qdn) «Il lavoro per me è sempre stato una passione e considero un privilegio aver potuto creare un rapporto speciale con i miei pazienti, accompagnandoli per tanti anni, vivendo insieme a loro i momenti belli e quelli brutti». Silvana De Riccardis da lunedì scorso, 3 febbraio, è in pensione, dopo oltre 38 anni di lavoro come medico di medicina generale. «Io ho sempre preferito definirmi medico di famiglia. - precisa - Perché davvero con il nostro lavoro entri nelle famiglie, te ne prendi carico. E’ un rapporto unico, privilegiato. Ci sono ragazzi che ho conosciuto adolescenti e ora hanno 50 anni e sono a loro volta genitori. Se ci penso mi fa un po’ impressione, però è una gioia».
Silvana De Riccardis, classe 1954, è nata in Sicilia e ha trascorso l’infanzia in Toscana. Poi - al seguito del papà Donato, militare della Guardia di Finanza - la famiglia si trasferì in Valle d’Aosta quando Silvana aveva 10 anni. «Ho quindi frequentato le scuole ad Aosta e infine l’Università a Torino dove mi sono laureata nel 1982. - ricorda - Ho cominciato a fare la gavetta nel 1983, come guardia medica e facendo prelievi e vaccinazioni per l’Usl. Dopo il tirocinio in ospedale, però, ho capito che avrei voluto fare il medico di famiglia perché mi piaceva avere un contatto più continuativo con le persone. Nel 1986 ho avuto l’incarico di medico di medicina generale che ho sempre esercitato ad Aosta. Prima con l’ambulatorio in via Edouard Aubert, poi in Passaggio Folliez e infine, dal 2005, nello studio associato che, insieme ad altri 5 colleghi, abbiamo aperto in piazza della Repubblica, precorrendo i tempi e potendo offrire un migliore servizio attraverso l’associazionismo dei medici».
In tanti anni, il lavoro del medico di famiglia è cambiato molto. «E’ cambiato tutto. - conferma Silvana De Riccardis - Sembra di parlare del Medioevo ma fino a una ventina di anni fa il supporto informatico non esisteva, si scriveva tutto a mano. Ora abbiamo degli strumenti digitali estremamente moderni ma che purtroppo spesso complicano la vita invece di semplicarla perché sono complessi e difficile da gestire. Non parlo solo per il medico ma anche per il paziente: l’Italia ha una popolazione mediamente anziana, ci sono persone che faticano a usare il cellulare e si pretende che si rapportino a questi strumenti come se avessero una laurea in informatica. Sarebbe giusto avere più considerazione verso questa fascia di popolazione che è la più debole e anche la più numerosa. Senza contare che il fatto di essere sempre connessi ha fatto sì che le persone si aspettino sempre di avere risposte immediate e non sempre è possibile». Naturalmente le difficoltà della sanità si sono fatte sentire, soprattutto nell’ultimo periodo. «Purtroppo non siamo stati ascoltati quando, tramite la Federazione nazionale dell’Ordine dei medici, abbiamo avvisato i Governi nazionali di ogni colore che si doveva cambiare qualcosa perché si sarebbe andati incontro a un “imbuto” pensionistico. Si è pensato solo a tagliare, a risparmiare. Va bene eliminare gli sprechi, ma se tagli troppo ne risente anche il servizio. E così è stato. Avevamo la sanità migliore al mondo a tutti i livelli. Sicuramente a lungo termine non era sostenibile ma si sarebbe potuto agire per tempo, trovare magari un’integrazione attraverso le assicurazioni per mantenere la qualità. E poi è arrivato il Covid a dare la spallata definitiva e a fare emergere le carenze. Oggi, in tutta Italia, mancano medici, infermieri, tecnici. E chi resta deve lavorare 3 volte di più. Io stessa sarei potuta andare in pensione a maggio del 2024 ma, per rispetto dei miei assistiti che sarebbero restati senza medico, ho aspettato che andasse a buon fine un bando per un nuovo medico e per questo sono rimasta 8 mesi di più, aumentando il massimale dei pazienti da 1.500 a 1.800 e lavorando dalle 12 alle 13 ore al giorno. Io ho potuto farlo, ma non si può chiedere un sacrificio del genere a dei giovani che giustamente possono anche avere il desiderio di una famiglia. Non è solo per il fattore economico che molti vanno a lavorare all’estero: è pure per la qualità del lavoro». «Mi dispiace per i giovani colleghi che la situazione attuale sia questa. - conclude Silvana De Riccardis - Per me è tempo di dedicarmi a quei rapporti che, per mancanza di tempo, ho inevitabilmente trascurato. All’arte e ai viaggi, di cui sono appassionata. E al volontariato. Mi rimarranno sempre nel cuore i miei pazienti: per me assisterli è stato un privilegio, un arricchimento. Per loro ho sempre fatto questo lavoro con passione e con umiltà, sapendo che non si smette mai di imparare».
Daniel Quey