Sulla Vallée di questa settimana ho letto l’articolo sullo “show ” dei preti sul podcast di Luca Dodaro che ha creato un esagerato clamore. Non entro nel merito dell’opportunità dei preti a partecipare e sul loro comportamento, c’è un vescovo e ci penserà lui essendo la loro guida, ma alcuni particolari mi hanno fatto riflettere. Qualcuno ha messo l’accento sul fatto che le battutacce sui funerali e sulle confessioni, hanno dato l’impressione che questi sacramenti sono in realtà vissuti dai ministri cattolici come degli atti amministrativi. Forse è proprio questa la chiave di lettura, al funerale arrivano fedeli che il prete non conosce, non li ha mai visti. Al confessionale arriva una persona che non ha mai ucciso nessuno ecc… e giustamente il prete chiede che cosa sia andata a fare visto che si è assolta da sola. A mio avviso è proprio questo il problema, le comunità non esistono, i sacramenti diciamocelo sono in effetti atti amministrativi perché «è la tradizione», battesimo «altrimenti la gente cosa dice», catechismo «così parcheggio il figlio un’ora», il matrimonio «così mi sento moralmente a posto» e con otto incontri i preti hanno l’illusione di far raggiungere gli sposi alla consapevolezza di quello che stanno facendo, così la pratica è a posto della serie «io glie l’ho detto poi…»
Se il prete si trova una persona defunta con famigliari di cui non sa assolutamente nulla, che non ha mai visto, di chi è la colpa, del prete o di chi in chiesa non va mai e non sente il bisogno di conoscere la guida della sua comunità parrocchiale? Stiamo parlando di paesi in Valle d’Aosta non di quartieri di Milano o Torino dove in due palazzoni ci stanno l’equivalente di tutti i residenti in Valle d’Aosta. Se c’è una questione triste non sono le battute sarcastiche dei preti ma l’assoluta mancanza di consapevolezza di far parte di una “Chiesa” ovvero “assemblea dei credenti”. Il problema che il sacramento a volte è vissuto come qualcosa di magico, il funerale in chiesa è meglio farlo fare, il battesimo è meglio farlo fare non si sa mai. Dio ci vuole tutti in Paradiso certo e Lui è l’unico in tutto l’universo a poterci giudicare.
Forse aveva ragione Benedetto XVI quando ebbe a dire al suo segretario, «torniamo ad essere in dodici ma torniamo ad essere veri». Io aggiungo se non ci ha mai importato nulla della religione abbiamo il coraggio di non chiedere nulla alla religione, non facciamo perdere tempo ai preti, che è già difficile trovarli, cerchiamo di ritrovare una dimensione spirituale da condividere con un prete che a volte può essere un buon amico con le sue difficoltà e difetti ma che per sua vocazione è a nostra disposizione e soprattutto a nessuno viene chiesta la tessera e avvicinarsi ai sacramenti è per noi non per ottenere bollini per il paradiso. Forse aveva ragione un monaco che mi disse: «Se la Chiesa avesse pensato a creare coscienze e meno a salvare le anime del purgatorio forse avremmo una realtà diversa».
Cesare Neroni, Aosta